La disprassia fa parte dei Disturbi della Coordinazione Motoria, nello specifico è un disturbo nel quale le prestazioni di compiti di coordinazione motoria, sono significativamente inferiori al livello atteso rispetto all’età e allo sviluppo intellettivo del bambino.
La disprassia è un disturbo complesso, con difficoltà che spaziano dal motorio al cognitivo, anche se non è detto che vi sia la compresenza di entrambe; si può manifestare in varie forme e può avere diversi gradi di intensità e può coinvolgere una sola o più abilità.
La difficoltà nel diagnosticarlo in tenera età dipende dal fatto che spesso viene scambiato con un altro disturbo, per esempio un disturbo linguistico.
Oltre all’aiuto del pediatra ed un’attenzione particolare da parte dei genitori, la vera diagnosi della disprassia può essere fatta solo da un’equipe di specialisti quali: neuropsichiatra infantile, psicologi dell’età evolutiva, logopedisti, terapisti della neuropsicomotricità, terapisti occupazionali.
I bambini con disprassia non hanno una difficoltà totale nella coordinazione motoria o nel fare qualsiasi gesto, ma hanno nella quasi totalità dei casi problemi di organizzazione spazio-temporale.
I bambini disprassici hanno capacità cognitive che rientrano assolutamente nella norma, ma hanno difficoltà a compiere atti motori volontari, coordinati sequenzialmente fra loro, in funzione di uno scopo, proprio per questo a volte possono apparire più goffi e maldestri rispetto magari a dei bambini della loro stessa età; ovvero hanno difficoltà soprattutto rispetto alla capacità di pianificare, programmare ed eseguire una serie di movimenti che servono al raggiungimento di un determinato scopo, come per esempio vestirsi o allacciarsi le scarpe.
Devono pensare alla pianificazione degli atti motori che non riescono ad automatizzare, prima di eseguirli, ossia hanno una difficoltà a passare automaticamente dall’idea all’azione. O ancora potrebbero avere difficoltà anche nel compiere gesti espressivi che servono a comunicare emozioni, stati d’animo.
Nel corso dello studio di questo disturbo si è notato che il bambino affetto da disprassia, anche quando ha imparato ad eseguire determinate azioni, ha bisogno di tempi più lunghi e che comunque manifesta lentezza nell’esecuzione sia in attività quotidiane che nelle attività scolastiche.
Nell’ambito scolastico, la disprassia può associarsi a problemi nel disegno e nella scrittura (meglio nota come disgrafia), nel linguaggio e nell’eseguire le operazioni matematiche, con possibili rallentamenti anche nell’apprendimento, nonostante il livello intellettivo sia nella norma.
Il fatto che il bambino disprassico quando non è affetto da altri disturbi cognitivo-comportamentali ha un livello cognitivo nella norma, quindi come i suoi coetanei, questo per lui è spesso causa di frustrazione, rispetto alla consapevolezza del proprio deficit, e questo porta talvolta ad avere disturbi comportamentali o della condotta.
La diagnosi viene effettuata sulla base dell’osservazione clinica e sulla base di test mirati proprio in base all’ età del bambino, che aiuteranno a confermare o ad escludere di essere in presenza di un caso di disprassia.
Esistono dei segnali di rischio che non vanno sottovalutati per portare ad una pronta e tempestiva diagnosi della disprassia.
Questi segnali differiscono in base all’età. Possono manifestarsi già durante il primo anno di vita: vediamo qui quali sono quelli più evidenti.
Disprassia nel primo anno di vita:
difficoltà con lo sguardo; problemi di sonno e di alimentazione; molto irritabile; difficoltà nell’afferrare e nella prensione; assenza o ritardo della lallazione, se non addirittura assenza di alcuna forma verbale e di emissione di suoni; ritardo nel gattonare, mettersi seduto e deambulazione; breve attenzione ed interesse per gli oggetti.
Disprassia nell’Età Prescolare:
il bambino alla scuola dell’infanzia è in continuo movimento; la sua attenzione è molto breve non supera i 2-3 minuti; ha disturbi del sonno o comunque un sonno agitato; necessita di molto tempo per svolgere un qualsivoglia compito; non pronuncia parole, ma suoni ed ha difficoltà nella articolazione delle parole; possiede un vocabolario molto ridotto e compie pochi gesti; ha difficoltà nella coordinazione tra il ritmo di una musica ai gesti; presenta difficoltà nella socializzazione; non riesce a disegnare, ma fa scarabocchi; ha difficoltà nel mangiare da solo e nel salire o scendere le scale; ha difficoltà nell’afferrare e nella manipolazione di oggetti e nel fare i puzzle e nel gioco delle costruzioni.
Disprassia in Età scolare:
difficoltà e fatica nel seguire le spiegazioni delle maestre a causa del ridotto tempo di attenzione e della facilità nel distrarsi; disgrafia e difficoltà di apprendimento; lentezza nell’eseguire i vari compiti; difficoltà nel ricopiare dalla lavagna; Difficoltà di tipo grafo motorio e nel disegno.
Quali attività svolgere allora in classe?
Un aiuto importante nei casi di disprassia, sono le costruzioni perché stimolano la coordinazione occhio-mano. I bambini ritrovandosi a maneggiare i mattoncini imparano ad associare azioni e movimenti alle forme e agli spazi.
Oppure la musicoterapia, di cui sono noti i suoi effetti positivi sui disturbi psicomotori. Questo perché favoriscono la partecipazione, attività come i balli di gruppo e il cantaresono infatti particolarmente indicate per il trattamento dei problemi di coordinazione gestuale e vocale, favorendo l’auto-percezione fisica e la capacità espressiva.
Cosa fare allora?
Bisogna affiancare il bambino ed aiutarlo con una terapia logopedistica a cui si deve accompagnare spesso anche quella di un terapista occupazionale e psicomotricista.
Il trattamento della disprassia prevede un percorso logopedico e dei programmi di riabilitazione, accompagnati a varie misure mirate al recupero verbale e motorio. Più precocemente si interviene con l’ausilio della terapia, maggiori sono le possibilità di miglioramento e di recupero.
Per quanto riguarda l’ambito scolastico, molto importante è la collaborazione tra la scuola e l’insegnante nello specifico, ed il terapista del bambino.
L’insegnante può periodicamente avere uno scambio di informazioni con il terapista, che sia in forma verbale o anche scritta se non con entrambe i modi, per informare il terapista su quelli che ritiene essere dei punti di forza e di debolezza mostrati dal bambino nello svolgimento delle attività scolastiche.
Questo perché? Perché questo scambio di informazioni insegnante/terapista permette all’insegnante di adottare nuove ed alternative strategie di lavoro con il bambino disprassico e al terapista di verificare se le il frutto del lavoro svolto durante la terapia e le abilità apprese sono state riportare anche a scuola.
Bisogna dare tempo al bambino, premiarlo e sottolineare i suoi successi nel fare quel passo in più e non l’errore se è rimasto indietro o se non è in grado di affrontare una certa situazione, aiutarlo ma non sostituirsi a lui, rispettarlo ed insegnargli a rispettare le differenze che ognuno di noi ha.
Non bisogna arrendersi, perché il bambino disprassico ha molte capacità, tutto sta nel trovare le giuste tecniche per farle emergere.
Il bambino disprassico si rende conto di questo suo deficit, non serve che la maestra lo neghi ma che lo aiuti e lo accompagni nel trovare delle strategie per affrontare un problema.
Per tutto questo è fondamentale fare un lavoro di squadra con i vari esperti per trovare delle tecniche e delle alternative che possano aiutare il bambino a raggiungere il livello degli altri suoi coetanei.
Vogliamo sottolineare nuovamente come la precocità d’intervento e della diagnosi sia molto importante e fondamentale per la riabilitazione di questi disturbi, che possono diventare nel tempo veri e propri deficit per lo sviluppo e per la capacità di apprendimento del bambino.