La crescita dei bambini è pervasa da una costante ricerca di equilibrio cognitivo, continuamente messo in discussione sulla base delle nuove assimilazioni che il bambino ogni giorno attua. Benché il bambino venga al mondo con un patrimonio genetico determinato che fornisce la base al suo sviluppo fisico e mentale, egli inizialmente si presenta come un soggetto incosciente e inerme che si accinge a svilupparsi tramite l’incontro tra le strategie che possiede in maniera innata e le informazioni che acquisisce dalla realtà. Durante i primi anni quindi il piccolo si presenta come una sorta di spugna affamata di conoscenze e pronta a recepire qualunque informazione esterna, senza avere però la coscienza e le capacità adatte ad ordinarle all’interno di un tessuto logico.
Secondo lo psicologo pedagogo svizzero Jean Piaget, è possibile individuare una correlazione tra lo sviluppo fisico e mentale, in quanto il secondo si delinea e si esprime attraverso un’organizzazione delle informazioni funzionale all’adattamento dell’individuo all’interno del mondo reale. Questo avviene principalmente in due fasi: la prima, definita di assimilazione, è quella in cui il bambino recepisce le informazioni che gli vengono proposte dagli stimoli esterni, mentre la seconda si presenta come un processo di accomodamento in cui egli modifica e integra le idee generate dalle informazioni acquisite, mettendo costantemente in dubbio le proprie conoscenze pregresse per far spazio alle novità.
La concezione del mondo
Inizialmente il bambino è privo di ogni consapevolezza di se e delle regole logiche che gestiscono il mondo esterno, e questo ovviamente influisce riguardo l’ordinamento della sua struttura mentale. All’interno della sua coscienza i legami di causa ed effetto cominciano a delinearsi nella fase in cui egli acquisisce le abilità di prensione e manipolazione degli oggetti, in quanto comincia a riscontrare la presenza di un desiderio antecedente che scatena un’azione; tuttavia le sue percezioni di se stesso e del mondo che lo circonda si presentano ancora vaghe e poco definite, impedendogli di distinguere in maniera netta la linea di confine tra sé e il resto del mondo. Questa incapacità di differenziazione tra se stesso e il resto porta il bambino sviluppare una sovrapposizione tra i suoi sistemi mentali, le sue sensazioni e i suoi sentimenti e le caratteristiche degli oggetti che lo circondano, dando vita ad una concezione del reale di tipo magico-animistico.
La concezione animistica del bambino durante i primi anni di vita si compone di una particolare contrapposizione tra la sua incapacità di generalizzare il collegamento tra causa ed effetto dei fenomeni esterni, e l’estensione del suo sentito su tutto ciò che lo circonda. Essendo se stesso l’unica cosa di cui possiede una vaga percezione, egli tende ad attribuire ad ogni oggetto animato o inanimato con cui venga ad avere a che fare i propri sentimenti, le proprie volontà e le proprie possibilità d’azione includendosi in una dimensione che non consente differenziazioni tra mondo esterno e interiorità.
Il pensiero magico in cui il bambino si rifugia, oltre ad essere la naturale conseguenza della sua incoscienza di se e della sua percezione distorta del reale, possiede anche la funzione di proteggerlo dal confronto con la dimensione dell’alterità e dall’ansia nei confronti di ciò di cui non ha conoscenza e che non può controllare. Dalla sua incapacità di distinguere e organizzare i propri pensieri rispetto a quelli degli altri esseri umani, e dai fenomeni fisici che lo circondano, nasce quindi una concezione del mondo che potrebbe in qualche modo essere definita quasi egocentrica (sebbene le caratteristiche di questo “ego” siano alquanto ineffabili), ma che si presta in maniera eccellente a favorire le tendenze conoscitive del bambino permettendogli di relazionarsi col mondo nell’illusione di un possibile controllo sulla realtà, in quanto essa viene concepita come una sorta di variabile riconducibile alla dimensione interiore individuale. E’ la riduzione integrale della realtà ad una dimensione umana quindi la matrice generante dell’animismo e dell’artificialismo che pervade le concezioni infantili riguardo il mondo, accentuata dall’incapacità di concepire i concetti astratti se non mediante la loro rappresentazione isomorfa che conduce ad un rafforzamento della sovrapposizione del concetto di accadimento con l’effetto generato dalla volontà attiva dell’oggetto preso in considerazione.
Dalla concezione animistica a quella reale
L’evoluzione che porta il modificarsi del pensiero infantile da una concezione animistica verso la delineazione dell’intelaiatura del pensiero logico si costituisce principalmente dello scambio tra il bambino e il mondo adulto, in quanto attraverso questo rapporto egli ha la possibilità di mettere in dubbio le proprie convinzioni acquisendo una modalità organizzativa più veritiera ed efficace. La formazione del pensiero logico si presenta come un processo lento e graduale, il cui risultato, ottenuto mediante la progressiva introduzione dei concetti che regolano la vita quotidiana e le concezioni culturali della nostra società all’interno della mentalità del piccolo, non sarà mai raggiungibile in maniera completa: è possibile trovare residui di questo atteggiamento animistico anche in innumerevoli comportamenti adulti, in quanto esso emerge come possibilità di rassicurazione ogni qual volta la logica si dimostri poco utile al raggiungimento di questo scopo.
Comprendere le modalità e i meccanismi che definiscono le modalità di pensiero infantili, prendendo contemporaneamente coscienza delle loro funzioni psicologiche, concede agli educatori la possibilità di relazionarsi con i bambini in maniera cosciente permettendogli di supportarli durante il loro processo di crescita individuale. La presenza dell’adulto come espressione del pensiero logico è infatti indispensabile all’acquisizione di una percezione realistica del mondo: è proprio il confronto con questa dimensione ad offrire al bambino la struttura in cui organizzare il proprio sentire permettendogli contemporaneamente di notare la differenza tra se stesso e ciò che lo circonda. In quest’ottica, alla luce dei meccanismi su cui il pensiero animistico si basa, è preferibile non esigere dai bambini un’interpretazione strettamente razionale, in quanto questa non appartiene ancora alla loro natura e non può essergli somministrata come un magico medicinale in grado di renderli improvvisamente adulti, ma cercare al contempo di prevedere nel proprio sistema educativo dei momenti di confronto che concedano alla figura dell’educatore di confutare le interpretazioni del bambino offrendogli la propria alternativa razionale.