«Sento “Buonasera signor Dowd!”, mi giro e vedo un grosso coniglio appoggiato ad un lampione. Io non mi stupisco, perché quando abiti in una città così tanto quanto ci ho abitato io, tutti si conoscono per nome.» – dal film “Harvey” di Henry Koster.
Ricordate il film “Harvey” con James Stewart? È un film del 1950 il cui protagonista, Elwood P. Dowd, in età adulta, afferma di avere per amico un grosso coniglio. Si tratta del suo amico immaginario: Harvey.
L’amico immaginario è un fenomeno socio-psicologico che sopraggiunge quando un bambino, o in certi casi anche un adolescente o una persona adulta, instaura un rapporto di amicizia nella sua fantasia.
Le motivazioni per cui si ricorre ad un amico immaginario possono chiaramente variare a seconda dell’età del soggetto, diversificandosi dunque se si tratta di un bambino o di un adulto. In genere, in età infantile, il bambino è spinto ad instaurare un rapporto d’amicizia nella sua immaginazione per sentirsi meno solo, caso prevalentemente diffuso fra i primogeniti, per confrontarsi liberamente con una persona diversa dai compagni d’asilo/scuola/asilo nido, svelando i suoi segreti più reconditi, oppure per ovviare alla mancanza di una figura adulta come uno dei genitori, assente da casa per via del lavoro ad esempio.
Quante volte vi è capitato di vedere vostro figlio parlare da solo? In “realtà” è impegnato in una lunga chiacchierata con il suo amico, solo che voi non riuscite a vederlo.
Secondo una ricerca condotta dall’Università di Washington e dall’Università dell’Oregon, due terzi dei bambini gioca, litiga e si confronta con il suo amico immaginario. La fascia d’età prevalente entro la quale si sviluppa tale fenomeno è quella compresa fra i 3 e gli 8 anni, durante la quale la capacità di discernere fra realtà e fantasia non è ancora ben delineata.
Chi è l’amico immaginario
L’amico immaginario tende ad avere le caratteristiche comportamentali del bambino, dei genitori e degli adulti che lo circondano.
Può essere una persona o un animale, ma comunque è dotato dell’uso della parola. Il linguaggio con cui i due amici comunicano può essere reale o inventato, poiché il bambino tende a voler mantenere la segretezza dei suoi “racconti”.
Fisicamente potrebbe rispecchiare il desiderio, inconscio, del bambino di essere diverso fisicamente. Questo tratto però non è da considerare preoccupante in quanto è normale che nel processo di coscienza di sé si passi nella fase di mancata accettazione della propria fisicità.
Talvolta può accadere che l’amico immaginario non sia inventato ex novo, ma che sia il proprio idolo, un personaggio di un film, di un fumetto o di un cartone animato.
L’utilità dell’amico immaginario
L’amico immaginario è un essere con cui è possibile parlare, un buon ascoltatore. Questo tratto distintivo consente al bambino di esprimere le proprie capacità comunicative; ulteriore funzione cui assolve è quella di stimolare l’abilità del bambino di saper risolvere le problematiche che gli si presentano di volta in volta, avendo a disposizione “qualcuno” che lo ascolti e gli consenta di rielaborare gli avvenimenti della giornata.
La presenza dell’amico immaginario nella vita di un bambino si configura come una fase dell’acquisizione della coscienza di sé: il rispecchiamento. Nell’essere immaginario il bambino rispecchia le immagini di sé che ha delineato dal confronto con gli altri. In base a ciò che percepisce da questa sorta di confronto, apporterà delle modifiche alla sua immagine. Le chiacchierate con l’amico immaginario gli consentono dunque di conoscere meglio se stesso e di imparare a rapportarsi meglio con gli altri.
L’accettazione dell’amico immaginario: nessuna preoccupazione
Nel processo di crescita di un bambino pertanto la presenza di un amico immaginario non deve destare preoccupazione nei genitori in quanto si configura come una fase di notevole rilevanza nella presa di coscienza di sé.
È importante non prendere in giro vostro figlio, né pretendere che sveli a voi i segreti che condivide con il suo amico. Potreste urtare la sua sensibilità. Cercate piuttosto di assecondarlo, state al gioco e prendetevi parte se lo ritenete opportuno, senza però forzare la mano. La psicologa Monica Guerra fa l’esempio dell’invito a cena: non invitate l’amico immaginario a sedere a tavola con voi, ma siate pronti ad aggiungere un posto in più qualora sia il vostro bambino a chiedervelo.
I genitori devono imparare ad accettare l’amico immaginario senza preoccuparsi: “I bambini sanno di giocare, ma per loro il gioco è un affare serio.” – Tratto da “Nostrofiglio.it“, Monica Guerra, psicologa – psicoterapeuta