Come noto a chi lavora in ambito educativo infantile, uno dei maggiori studiosi dello sviluppo del bambino è Jean Piaget, che nel Novecento ha elaborato una delle teorie dello sviluppo psicologico più importanti. Secondo lo psicologo, lo sviluppo cognitivo passa attraverso una serie di stadi, definiti come un periodo di tempo in cui il pensiero e il comportamento presentati dal bambino riflettono un tipo particolare di struttura mentale. Uno stadio è una totalità strutturata in stato di equilibrio, ben integrata ed organizzata e le cui parti sono strettamente interconnesse. Il punto focale in questa accezione è rappresentato dal fatto che il passaggio attraverso gli stadi comporta cambiamenti strutturali di natura qualitativa (ovvero cambiamenti per tipo e genere) piuttosto che quantitativa. Ciascuno stadio deriva da quello precedente, lo incorpora e lo trasforma e, contrariamente a quanto avviene nella teoria stadiale di Freud, non è possibile una regressione ad uno stadio già raggiunto. Gli stadi, inoltre, sempre caratterizzati da una fase di preparazione iniziale e un periodo conclusivo finale, seguono una sequenza invariata e sono universali, cioè validi per tutti gli esseri umani.
Di particolare interesse per le educatrici dell’asilo nido sono il primo e il secondo stadio, ovvero il periodo sensomotorio e il periodo preoperazionale. Durante il primo, che va dalla nascita ai due anni circa, il bambino comprende il mondo attraverso le sole azioni fisiche che esercita direttamente su di esso, passando dall’uso di semplici riflessi ad un insieme di schemi comportamentali organizzati. Nel corso del secondo stadio, che va dai due ai sette anni circa, il bambino non compie più solo semplici azioni a partire dalle sue percezioni degli oggetti od eventi, ma utilizza in modo via via più logico ed organizzato simboli come i gesti, le parole, le immagini mentali per rappresentare gli oggetti od eventi. Il periodo preoperazionale, nello specifico, non ancora contraddistinto da operazioni concrete, presenta una serie di caratteristiche quali: la rigidità del pensiero (secondo Piaget il pensiero è “congelato”), di cui è un esempio l’elemento distintivo della centrazione, ovvero la tendenza del bambino a pensare o a prestare attenzione ad una sola caratteristica saliente di un oggetto od evento, tralasciando le altre; il ragionamento semi-logico, in cui i pensieri sono connessi tra loro in maniera slegata e che porta il bambino a spiegare gli eventi naturali della vita quotidiana in termini di comportamento umano; la cognizione sociale limitata, che fa sì che il piccolo abbia difficoltà nella comunicazione e nell’assunzione di un ruolo, giudicando un atto sulla base di fattori esterni; l’egocentrismo, dovuto all’incompleta differenziazione di sé e del mondo e alla tendenza a comprendere e ad agire sul mondo dal proprio punto di vista.
Piaget lega il concetto di egocentrismo a quello di realismo infantile, che definisce come una disposizione spontanea in base alla quale l’attività percettiva domina l’attività rappresentativa. Pertanto, per il bambino non solo il proprio punto di vista rappresenta la centralità assoluta, tanto da non riuscire a prendere in considerazione che possano esistere altre prospettive proprie di altre persone (egocentrismo), ma la propria percezione sovrasta addirittura le rappresentazioni della realtà. Ne consegue che la realtà percettibile è per il bambino l’unica realtà, che a realtà di natura soggettiva (come i pensieri, le parole e i sogni) vengano attribuite le stesse caratteristiche di materialità della realtà fisica e che realtà di tipo oggettivo (come i fenomeni naturali) vengano lette come aventi volontà, consapevolezza ed intenzionalità proprie degli esseri umani. Quindi il bambino rappresenta fenomeni che non hanno corpo fisico, come i nomi o gli obblighi morali, come se fossero eventi concreti e tangibili (ad esempio crede che i nomi delle cose siano contenuti nelle cose stesse, che un nome sia la stessa cosa della persona che lo porta, che cambiando il nome di una cosa cambi anche la sua sostanza).
Una conseguenza del realismo infantile è la tendenza a non comprendere o a trasformare o deformare i concetti trasmessi dagli adulti basati sulla soggettività, che non hanno riscontri oggettivi nella realtà immediatamente percettibile. Attraverso l’egocentrismo e il realismo infantile il piccolo concepisce il mondo in modo animato (avente, per l’appunto, vita ed intenzionalità proprie) ed artificiale (essendo determinato sempre e comunque dall’essere umano). A causa dell’animismo il bambino considera la realtà, la fantasia, il gioco come la stessa cosa, senza riuscire a coglierne le sostanziali differenze. Accade, ad esempio, che inizi ad imitare le regole degli adulti sperimentandole all’interno di un gioco ma non le rispetta, considerandole qualcosa di esterno e ininfluente. Oppure se chiamato in causa a pronunciarsi, per esempio, su due bugie, giudica come più grave quella che viene scoperta o, comunque, quella che diventa in qualche modo la più concreta.
Quindi per Piaget la conseguenza del realismo infantile e dell’egocentrismo è il pensiero pre-causale, secondo cui il bambino non distingue la realtà interna dalla realtà esterna e laddove un oggetto considerato dall’adulto come esterno viene concepito come interno e viceversa.