Spirito di competizione come si sviluppa nei bambini e fino a quando è sana la competizione

Lo spirito di competizione, di per sè, non è visto, in psicologia, come una cosa negativa. Quando la competizione va di pari passo con l’ambizione, con la volontà di migliorarsi, con la caparbietà e la voglia di raggiungere i propri obiettivi è, anzi, una qualità pregevole. Tuttavia, come per tutte le cose, se non è canalizzata in maniera sana ed equilibrata fin dalla più tenere età, la voglia di competizione può sfociare in comportamenti aggressivi, poco onesti, poco sociali. Un bambino troppo competitivo, che vuole sempre e comunque vincere a tutti i costi, non riscuoterà, neanche tra i suoi coetanei ed i suoi compagni della scuola dell’infanzia, una grande popolarità e rischierà di essere estromesso e guardato con antipatia e sospetto, convincendosi ancora di più che solo vincendo su tutti potrà affermarsi in qualche modo.

Il ruolo dei genitori e della società dell’apparenza sulla competitività dei bambini
Molto spesso, anche senza volerlo, sono proprio i genitori che crescono i bimbi in un ambiente competitivo ed improntato sulla vittoria a tutti i costi. Banalmente, un atteggiamento esagerato rispetto alla vittoria della propria squadra di calcio da parte del papà o frasi denigratorie verso la squadra avversaria dette in leggerezza, possono, alla lunga, modificare ed educare in maniera negativa la psiche di un bambino piccolo. Ugualmente, una mamma che, senza pensarci, si lascia andare continuamente a comparazioni tra attrici ed attori, sottolineandone l’aspetto fisico più o meno gradevole ed utilizzando, per farlo, frasi poco consone, influirà negativamente sulla percezione della società dei suoi figli. Bimbi che crescono in un ambiente dove, costantemente, i genitori fanno comparazioni lodando il migliore e denigrando il peggiore, struttureranno il proprio spirito critico dividendo il mondo in “vincenti” e “perdenti” sulla base di dati oggettivi ( vittoria della partita, fisico adiacente ai dettami della moda ) senza poter incrementare questo giudizio su un’analisi più ampia, che tenga in considerazione fattori astratti e giudizi sensibili. Sarebbe bene, con i bambini, non essere mai assolutisti ma offrire sempre una doppia visione di ogni cosa. Ad esempio: “La nostra squadra ha vinto, ma la squadra avversaria ha fatto comunque un bellissimo gol” “Quella ragazza ha vinto Miss Italia ma anche tutte le altre sono bellissime”. Sembrano cose banali, di fatto difficilmente ci si pensa, nel momento in cui si pronuncia una frase innocente e con nessuna intenzione di danneggiare ma, con i bambini, bisogna essere sempre molto attenti a qualsiasi cosa si dica o gesto di compia, soprattutto durante la fase dello sviluppo cognitivo.

Quando la competizione di un bambino è sana e quando va corretta
Il bimbo che vuole vincere e che ci rimane male o piange se perde è, tendenzialmente, normalissimo. Il dispiacere per aver perso ad un gioco o non aver raggiunto un risultato è un sentimento sano. È sbagliato sgridare o minimizzare la disperazione di un bambino che ha perso: l’esperienza della perdita, dell’insuccesso e la sua metabolizzazione è importante quanto la capacità di gestire in modo equilibrato una vincita. Va scoraggiato, invece, l’atteggiamento del bimbo vittorioso che si prende gioco dell’avversario sconfitto: è importante invitare il bambino vincente a complimentarsi, ugualmente, con lo sconfitto, pur gioendo della sua vittoria, com’è giusto che sia. Una sana competizione si basa sul concetto di impegnarsi a fondo per vincere ma senza godere dell’insuccesso altrui e senza sentirsi sminuiti per la perdita, prendendone coscienza e usandola come scusa per esercitarsi e riprovare la volta dopo.

L’atteggiamento giusto da tenere per insegnare la sana competizione
Quando si organizza una gara tra bimbi, che si tratti di uno contro uno o di una squadra contro l’altra, è importante adottare alcuni atteggiamenti che rendano chiara la situazione. L’abitudine del “premio di consolazione”, ad esempio, sminuisce chi ha vinto e inganna chi ha perso, destabilizzando nel bambino il concetto di gara. Il premio andrebbe sempre dato solo a chi, in effetti, ha vinto: poi, per tutti i partecipanti, potrà esserci un festeggiamento comune, con caramelle, cioccolatini o un buffet goloso, da condividere, perché si festeggia tutti insieme l’evento che ha divertito tutti in egual modo. È importante scoraggiare in modo secco ed incontrovertibile tutti gli atteggiamenti denigratori del vincitore sul perdente, senza però limitare la gioia e la soddisfazione che questi prova e manifesta. D’altro canto è consigliabile lasciar sfogare, anche col pianto, il bambino o i bambini che hanno perso e, quando si saranno calmati, spiegare loro che, esercitandosi ed impegnandosi, la prossima volta potrebbero vincere. Un giusto atteggiamento è anche quello di sottolineare, in ogni caso, ciò in cui, pur avendo perso, hanno fatto bene, durante la partita, la gara o il gioco. Non far passare mai il concetto che “chi vince è bravo” e “chi perde non è bravo” ma evidenziare sempre i talenti sia del vincente che dello sconfitto.

Quando la competizione diventa patologica
Se un bambino, costantemente, ogni volta che perde diventa aggressivo, inconsolabile o ha reazioni spropositate o se, al contrario, si chiude in se stesso e rifiuta di ritentare, è consigliabile che l’educatrice ne parli alla famiglia. In questi casi è importante valutare se, alla base di una competizione esacerbata in così tenera età, possa esserci una lacuna affettiva o di autostima che parte dal nucleo familiare.

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