L’aggressività è parte dell’indole umana sin dai primi mesi di vita, per poi assumere connotazioni e modalità di espressione diverse col passare degli anni. Il neonato, ad esempio, manifesta la sua irritazione ed insoddisfazione stringendo forte i pugni, puntando i piedini, o talvolta rifiutando di mangiare. Successivamente, le reazioni aggressive possono sfociare nel lanciare o sbattere per terra i giocattoli, oppure strappare i capelli della mamma o del papà. Ad ogni modo, la componente violenta e la violenza in generale tende a scomparire con la maturazione e la crescita cognitiva e relazionale, rappresentandone una normale fase di passaggio.
Il significato della violenza nell’interazione con i compagni
Nel corso della giornata tipo di una scuola dell’infanzia, o dell’asilo nido, numerosi sono i litigi e gli episodi di violenza che esplodono tra i bambini, che sia per un giocattolo conteso o un dispetto. E’ tuttavia errato ritenere tali comportamenti indizio di un’indole violenta, al contrario, l’unico significato da attribuirvi è che il bambino sta interagendo e si sta relazionando con i compagni in modo del tutto spontaneo. Lo scopo non è mai quello di fare del male o causare dolore e non è nella maniera più assoluta l’odio o la consapevolezza a guidare i moti aggressivi. Alla base, ci sono spesso ricerca di dialogo, difesa dei propri diritti, espressione di un malessere interiore, gelosia, possesso, e bisogno di affermare il proprio io. Ad ogni modo, in età prescolare, gli atteggiamenti violenti sono in linea di massima fisiologici e non patologici.
Il ruolo dell’educatore dinanzi agli episodi violenti
Alla luce di quanto detto, assume un’importanza fondamentale la reazione dell’educatore che si trova a dover gestire delle incresciose situazioni di liti violente tra bambini. C’è da dire che generalmente lo scontro è destinato a risolversi nel giro di pochissimo tempo se gestito direttamente, senza l’intromissione dell’adulto. E’ però importante far capire al bimbo quanto sia sbagliato trattare male gli altri, pur evitando di colpevolizzarlo e mortificarlo. La soluzione migliore sarebbe immedesimarsi nel bambino, abbandonando per un istante il punto di vista dell’adulto. Evitare di guardarlo dall’alto in basso e di ergersi come giudice pronto ad interrogarlo pretendendo di conoscere ogni dettaglio e il motivo per cui sia scoppiata la lite. L’approccio da prediligere è piuttosto quello meno invadente possibile, che consenta al bambino di imparare a risolvere autonomamente i conflitti.
Quali atteggiamenti assumere quando esplode la rabbia?
Una volta accantonato l’atteggiamento inquisitore, quali sono le azioni da mettere in pratica per aiutare, piuttosto che punire, il bambino violento?
Anzitutto, sarebbe opportuno chiamare in disparte il bimbo invitandolo ad esprimere le sue emozioni, esponendo la propria versione dei fatti, magari tramite il disegno. In questo modo, si stempera il nervosismo, la tensione del bimbo che ha modo di riflettere su quanto accaduto. Il secondo passo verso la pacificazione, potrebbe essere poi invitare le parti al confronto in modo da trovare un accordo comune. Ascoltare il punto di vista dell’altro, confrontarsi, significa imparare a negoziare, ad interagire in modo costruttivo con il prossimo. Viceversa, se non abituato ad ascoltare gli altri, il bambino tenderà ad essere permaloso, suscettibile, e sempre più aggressivo. Bisogna comprendere e riconoscere ai bambini il diritto di litigare ed intervenire esclusivamente al fine di insegnare loro a litigare bene.
Ad ogni modo, affinché l’intervento educativo sia realmente fruttuoso, assume un’importanza fondamentale la coesione tra insegnanti e genitori. E’ dunque opportuno stabilire periodici momenti di confronto e discussione volti a definire delle linee comuni di intervento, soprattutto nei casi più critici, sempre all’insegna della fiducia e del rispetto reciproco.