Come è nato il Carnevale? Storie sul Carnevale da raccontare ai bambini dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia

Il Carnevale, storicamente, si narra che nacque come festa dell’abbondanza in vista del periodo di austerità dettato dalla successiva Quaresima. È una festa che ha origini molto antiche, si pensa che già i romani dell’Impero lo festeggiassero, a modo loro, e pensassero che le maschere potessero tenere lontani gli spiriti malvagi.

Col passare del tempo e dei secoli, il Carnevale ha acquisito una connotazione di festa unicamente gioiosa, ricca di colori e dolci, durante la quale, per tradizione si fanno scherzi e burle. Carnevale è una festa che intriga ed appassiona molto i bambini, che si travestono, si truccano e possono lanciare coriandoli e stelle filanti, trasgredendo, così, alle regole quotidiane del non sporcare per terra e non gettare gli oggetti al suolo. È quindi un’idea simpatica celebrare e dare accento, anche all’asilo o alla scuola dell’infanzia, a questa festa così originale e particolare. Esistono un paio di favole molto carine da raccontare ai bambini, per spiegar loro il significato del Carnevale. Sono raccontini che si prestano egregiamente alla messa in scena di recite e rappresentazioni: non sarebbe una cattiva idea, infatti, organizzarne una da proporre ai genitori od ai compagni delle altre sezioni, in occasione di una merenda carnevalesca organizzata in asilo o in materna.

Re Carnevale e Regina Quaresima
C’era una volta, anni ed anni fa, un regno colorato e gioioso, governato da un Re molto buono e generoso, che si chiamava Re Carnevale. Questo Re viveva in una grandissima casa, con giardini tutt’attorno, nei quali crescevano fiori e frutta tutto l’anno. Re Carnevale era un bravissimo cuoco e la sua specialità erano le frittelle di mela, quelle al cioccolato e quelle ripiene di buonissima crema pasticcera. Ogni giorno Re Carnevale si chiudeva nella sua cucina e preparava chili e chili di frittelle, dolci, torte e crostate che amava offrire a tutti i suoi sudditi. Ma i sudditi, invece di essere riconoscenti e felici di avere un Re tanto gentile, che dispensava loro buonissime leccornie ogni giorno, erano dispettosi. Entravano in casa sua con trombette, coperchi di pentole e coriandoli, facevano baccano, mettevano tutto in disordine e lo prendevano in giro. Re Carnevale, stufo di tutti questi scherzi, un giorno fu costretto a sbarrare la porta di casa ed impedire ai sudditi di entrare. Smise anche di offrire dolci e frittelle. Re Carnevale, però, amava troppo cucinare e mangiare dolcetti, quindi iniziò a cucinarli solo per sè ed, a furia di trangugiare, diventò grosso e grasso, troppo, fino a punto che si rese conto che stava rischiando di scoppiare. Così, spaventato e preoccupato, decise di chiedere aiuto a sua sorella, una signora magra ed esile, pallida e molto severa, la Signorina Quaresima. Quaresima acconsentì ad aiutare il fratello, per impedire che la sua pancia esplodesse, ma ad un patto: che Re Carnevale le lasciasse il trono ed il totale comando del regno. Il Re accettò e fu così che Quaresima divenne la Regina Quaresima ed iniziò a governare mettendo regole ferree per tutto il popolo. La Regina vietò gli scherzi troppo rumorosi ed i coriandoli e stabilì che non si potessero più mangiare troppi dolci e che il venerdì fosse servito solo pesce in bianco, magro e buono per la salute. Il regno diventò meno allegro, però iniziò a funzionare in modo più ordinato. Re Carnevale, però, era diventato molto triste. Così, Regina Quaresima, per tirargli su il morale, gli concesse di regnare a modo suo per tre giorni l’anno e, in quei tre giorni, è ancora oggi concesso tutto: stelle filanti, scherzi e tantissime frittelle.

Arlecchino e il suo vestito dell’amicizia
Arlecchino era un bimbo di Bergamo, che viveva in una povera casa con la sua povera mamma. Non avevano soldi per comprare giocattoli, begli abiti o cose superflue. Arlecchino, però, era un bravo bambino. A scuola aiutava sempre i compagni, se erano in difficoltà, prestava volentieri le sue matite ed i suoi pennarelli, anche se ne aveva pochi, e sorrideva a tutti, giocava con tutti, parlava con tutti. Era un bambino proprio simpatico e gentile Arlecchino. Arrivò il periodo di Carnevale e tutti i suoi compagni si confrontavano tra loro per decidere quale maschera scegliere, come vestirsi e quali dolci farsi cucinare dalle proprie mamme. Colombina, una bella bambina di Venezia, chiese ad Arlecchino da cosa si sarebbe travestito per la grande festa organizzata in paese. Lui, che sapeva di non poter chiedere troppo alla sua mamma, rispose che non avrebbe avuto nessun vestito di Carnevale e che sarebbe andato alla festa ed avrebbe guardato. A questo punto, siccome Arlecchino era molto benvoluto per la sua simpatia e la sua cordialità, tutti i suoi compagni iniziarono a confabulare e misero a punto un piano. Ogni bambino si fece dare, dalla propria mamma, un pezzo di stoffa avanzato dal proprio vestito di Carnevale e, con l’aiuto della maestra, cucirono una bellissima tuta multicolore da donare ad Arlecchino. Così anche lui avrebbe avuto un costume bellissimo e perfetto e avrebbe potuto partecipare attivamente alla festa, divertendosi insieme a tutti loro. Tutt’oggi, il vestito di Arlecchino è visto come simbolo di amicizia e solidarietà.

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